La “elle” e la “x” in Veneziano, ecco come vanno usate
Vi riporto un mio articolo uscito sulla Nuova Venezia l’11 novembre (giorno di S.Martino data importante per Venezia ma su questo ci ritorno. Promesso !)
La “elle” e la “x” in Veneziano, ecco come vanno usate
Se l’informare ricopre anche il campo etimologico dell’istruire e del formare ne consegue che per comunicare informazione si possono utilizzare principalmente due sistemi che coinvolgono diversi livelli di comprensione e che si rivolgono a due tipologie differenti di fruitori: un livello sarà quello semplicemente divulgativo e rivolto ad un pubblico molto vasto, l’altro invece sarà tecnico- specialistico e sarà diretto soprattutto a coloro che si occupano specificatamente di un dato argomento.
Il rischio della prima modalità è quello di una eccessiva semplificazione, il che porterebbe inevitabilmente alla diffusione di una conoscenza superficiale, tant’è che questo tipo di sistema comunicativo non comporta mai approfondimenti e può essere paragonato ad un sasso gettato nell’acqua, i cui cerchi formati dal tonfo espandendosi si diluiscono fino a scomparire.
Tuttavia lo stesso argomento trasmesso con una modalità ricca di tecnicismi passerà attraverso una competenza talmente specifica che spesso una gran parte di lettori non riuscirà affatto a coglierne i concetti e il cerchio intorno al sasso sarà uno solo, specifico per pochi, anche se molto ben delineato.
Ma mi chiedo: può esistere anche una terza via, una via che contemperi informazione e formazione allo stesso tempo? Una strada che “formi” ed allo stesso tempo si renda comprensibile alla maggioranza dei lettori?
Nel caso della linguistica e della grammatica correlata alla fonetica, un campo nel quale molti si addentrano privi di ogni nozione, mi rendo conto che, per la specificità della stessa disciplina, sarà innanzitutto necessario fornire i lettori di una specie di bussola che dia almeno qualche coordinata per non smarrirsi definitivamente tra i flutti fonosintattici.
Prendiamo allora come esempio due suoni consonantici difficili da collocare a livello di pronuncia nel nostro dialetto, la “elle” e la “x” e cerchiamo una via grafico-grammaticale che eviti l’enorme bailamme che si verifica in tutti gli scritti dialettali (sostanzialmente illeggibili per la gran confusione derivante dalla soggettività dei diversi segni grafici usati).
Proviamoci: la “elle”, in veneziano, ha varie modalità di pronuncia che tenterò qui di descrivere; premetto, inoltre, che non sarà usato qui alcun segno di distinzione per renderne graficamente il timbro.
Si diceva dunque che la “elle”, nel nostro dialetto, è portatrice di una particolarità non facile da spiegare: abbiate dunque pazienza e provate a seguire la definizione che parafraserò da un importante studioso di linguistica (Lepshky): davanti alle vocali “a,o,u” essa deve essere graficamente sempre presente e per pronunciarla si deve arcuare la lingua in modo che appoggi lateralmente contro i molari superiori, quindi la si spinge leggermente in avanti lasciandola libera nella pronuncia della vocale successiva; ad esempio: lana-lana, lucertola-losertola. Se avete provato a seguire le istruzioni probabilmente state sorridendo … Ma andiamo avanti: davanti invece alle vocali “e, i” ha vari esiti: può mantenere il suono naturale italiano “elle” o può addirittura cadere completamente: nebbia-caìgo, scale-scae. In finale di parola tronca si pronuncia invece come in italiano; ad esempio: canale-canal.
Bene: sicuramente non facile ma interessante perché dimostra come sia faticoso trovare un segno grafico unico per questa pronuncia così specifica. E infatti non è necessario cercarlo, poiché una volta date queste poche coordinate sull’uso della “elle” il lettore attento pronuncerà per tentativi cercando di correggerne il suono fino ad arrivare a quello corrispondente al proprio dialetto, evitando così di complicare la lettura con una varietà di simboli incomprensibili, sovente cervellotici e sempre legati alla sensibilità, per non dire all’arbitrio, del singolo scrivente.
Ora, tornando alla mia premessa: vi siete resi conto anche voi che non sempre è agevole fare divulgazione, ma vediamo quanti cerchi potrà fare nell’acqua questo sasso!
Ancora un piccolo sforzo: per quanto riguarda la “x”, essa viene usata da tutti gli autori classici per tradurre l’italiana consonante “g”; ad esempio: giallo-zalo, giuggiola-zizola; devo però qui ricordare il nostro grande Boerio il quale riporta che la “x”, pur non essendo usata in lingua italiana, dovevasi però porre in uso nel dialetto veneziano al posto della “s” dolce (o sonora): caxa, fornaxa, zoxo, paxe, spexa, examinàr, ecc… (quindi anche Venexia un tempo era pronunciata con la “s” dolce!)
Ovviamente non sono d’accordo: è infatti sufficiente ricordare quelle regolette di base che vedono le nostre consonati intervocaliche sempre sonore (dolci) e quindi risulta superfluo rendere graficamente la “s” dolce con il segno grafico “x” quando la “s” sia posta tra vocali; ed ecco trovata, quindi, anche per la “x”, ora diventata “s”, una strada semplice e percorribile.
L’unica eccezione che accetto come plausibile avviene quando la “x” si trova a ricoprire la pronuncia di “s” sonora nella terza persona singolare del verbo essere: lui è- lu el xé, e non tanto per la definizione che ne dà il Boerio: “Xe, pronunciato colla vocale chiusa e come se fosse accompagnato da “s” dolce, è l’unica voce che con i suoi derivati debbe scriversi coll’icchese e non coll’esse, per essere il principio della parola, e perché è regola generale che la “esse” si pronunzia sempre aspra o naturale e giammai dolce quand’è nel principio delle voci …etc.” perché di eccezioni all’interno del suo vocabolario ce ne sono a dismisura (sbèssola, sbusàr, slongàr, slimegaménto, sgarugiàr, sgiónfo, sgorlón ecc…) ma esclusivamente perché ormai fa parte di una tradizione che si può mantenere.
Faccio comunque notare che alcuni studiosi di dialetto come il Durante e il Turato nella terza persona singolare del verbo essere riportano una pronuncia della “s” dolce graficamente riprodotta con la z, dunque: lui è- lu el zé. Questo ultimo approccio utilizzato è paradigmatico di un concetto: il dialetto utilizza schemi fonetici del parlato. La traduzione della parlata in grafia utilizza gli schemi correnti di quel momento storico. Quindi è più difficile leggere el xe zalo piuttosto che el ze zalo. Se ci provate vedrete che il vostro cervello non si sforzerà di capire il suono da applicare alla seconda frase mentre può ondeggiare nell’indecisione, anche solo per poco, nel decifrare la prima.
Concludendo: mi rendo conto che questo articolo è certamente di difficile lettura ed interpretazione, ma ritengo che questo sia il solo modo per aprire una via percorribile verso una pronuncia che possa essere correlata ad una grafia il meno simbolica possibile e quindi ad una scrittura del dialetto semplicemente più facile da leggere e quindi più fruibile.
Samantha Lenarda
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