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Oltre al dialetto…

Venezia è una città che vive sui fasti di un’epoca che non esiste più.

Venezia è orami diventata come Disneyland.

Venezia è una città museo e i suoi cittadini sono i fantasmi, le ombre proiettate di un passato remoto.

Quante frasi di questo genere abbiamo sentito? Penso che se ci mettessimo a fare un concorso sui luoghi comuni a proposito di questa città probabilmente ne verrebbe fuori un libro!
E’ vero, Venezia è sopravvissuta cercando di adattarsi ad essere città turistica e per questo si è svenduta e si è svalutata, ma Venezia non è morta, è una città che pulsa: sotto quelle che vengono ormai considerate le sue ceneri, vive ancora una gran parte di popolazione che produce e che crea. Una popolazione giovane, ricca di progetti e di voglia di portare avanti le tradizioni, la storia e lo spirito vitale di una città che si dava per spacciata.

Una popolazione che vede proiettata Venezia verso sistemi innovativi e non teme che questi ultimi possano essere contrapposti all’icona di una città immobile ma che invece ne possano stimolare la crescita, l’immagine e lo sviluppo. Sì, ho detto proprio giovane, e per questa caratteristica ancora poco visibile, perché con fatica e sgomitando cerca di emergere.
Molti scrittori, autori, artisti veneziani raccontano la città e la osservano con uno sguardo verso la tradizione storica senza dimenticare il presente.

Non c’è nostalgia, né alcuna sorta di triste malinconia nei loro lavori, ma il consapevole obiettivo di spingere Venezia in un futuro possibile.
Di tutti questi cittadini che vivono e mantengono viva la propria città nessuno parla mai.
Di questi cittadini che aprono le porte al futuro di Venezia sarebbe ora di cominciare a dar loro una voce.

Comincio io… pubblico oggi un mio brevissimo racconto.

Se lo leggerete fatemi sapere che ne pensate.

Game Over (PDF)

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8 thoughts on “Oltre al dialetto…
  • nicola scrive:

    Venezia non è morta, è una città che pulsa?
    Venezia sa sempre reinventarsi?
    Ah, povera Samantha e povera Venezia!!
    Cos’è l’illusione? Chi è l’illuso, se non colui che VUOL credere a ciò che VORREBBE fosse vero?

    Venezia è morta nel XVI secolo… quando i portoghesi aprirono la Via delle Indie, e le merci pregiate con cui si era creata la ricchezza della Città nei secoli precedenti, cambiarono semplicemente “giro” e “mercato” (Lisbona, Amburgo, Anversa) lasciando gli esosi mercanti veneziani a secco dei loro comodi (in condizione di monopolio commerciale) guadagni.

    Quindi Venezia si è spenta nel corso del 1500, ed è rimasta così com’era DA ALLORA, appunto per la INESISTENTE capacità di reinventarsi dei suoi abitanti…
    Per i successivi 6 secoli abbiamo continuato a piangerci addosso, ricordando i “bei tempi andati” quando Venezia imponeva i prezzi di mercato e non facendo nulla di più.

    Provocatoriamente, l’UNICO re-inventare Venezia è accaduto negli anni 50 60 e 70 del XX secolo, con gli orrori dell’industria petrolchimica…

  • Giorgio scrive:

    Gentile Nicola,

    ha ragione Lei che dire. Penso che Samantha qui sbagli. E di grosso.

    Infatti mi segua nel ragionamento.
    Che possiamo dire di una città che fa fatturati sul turismo paragonabili all’indotto di una grande azienda italiana.
    Che ha una università con decine e decine di facoltà.
    Dove la compresenza di culture diverse è assolutamente nel dna dei cittadini. E dove se ti siedi in un qualsiasi caffè puoi scambiare due parole con un artista che proviene dall’altra parte del mondo.
    Dove si vive in un modo unico fatto di passeggiate, di incontri con la gente e cosi via…

    Si ha ragione Lei. Venezia è morta nel 1500, Milano nel 1780, Roma quasi 1500 anni fa e anche io mi sento poco bene.

    Magari la realtà in cui viviamo è un po’ più complessa e ci vuole sensibilità per scorgerla.

    Le scrivo questo senza voglia di fare polemica, ma semplicemente perchè proprio due giorni fa ho sentito un ragazzino che prendendo a male parole l’altro diceva “xxx.. ti el to dio”. Questa frase penso unica a Venezia, che usava anche mia nonna, prevede il fatto che l’altro possa anche avere un Dio diverso dal tuo.

    Venezia è cosmopolita (vera) anche nelle parolacce.

    E questo gli ultimi 500 anni di storia non l’hanno cancellato.

    Cordiali saluti
    Giorgio

  • nicola scrive:

    Oh, non volevo fare e apparire da “bastian contrario” e mi perdonino per questo Samantha e il signor Giorgio!
    Semplicemente, e tristemente, l’idea di una Venezia che si è spenta nel XVI secolo seguendo il declino del suo predominio commerciale, è testimoniata dalla pura e osservabile realtà architettonica prima che culturale.
    Non è questa una mia idea da difendere e ribadire a ogni costo, tutt’altro: vorrei, all’opposto, che trovasse nei fatti smentita.
    Secondo me (umilmente e singolarmente, fingendo che questo non sia il parere di altri e più titolati storici che si sono occupati della nostra amata Venezia) Venezia si è addormantata con la fine del suo predominio commerciale, ed è rimasta là, ferma, a testimoniar la sua malinconica grandezza perduta, nei successivi 5 secoli.
    Venezia si è rinnovata con le epoche, e la città del 1200 era molto diversa da quella di 100 anni prima, così come la città del 1400 era uno splendido fiorire di architetture ardite (orientali e mitteleuropee) peculiarizzate dall’ingegno lagunare.
    Nel 1500 Venezia ha cambiato ancora volto, al passo con i tempi, e il “nuovo” Canal Grande testimoniò la pervicace forza innovatrice di uno stile architettonico ancora e sempre “adeguato ai tempi”.
    E poi?
    Poi, è finita la pacchia… e l’intera città si è addormentata lì… e non si è mai più rinnovata.
    Rinnovare e adeguarsi ERA la sua forza e la sua cittadina virtù. Finiti i fasti, né più mai innovazione, solo ristrutturazione.
    Milano, Roma, che Giorgio citava, hanno interi quartieri rifondati, organizzati ed edificati secondo gli stilistici dettami del ’700, dell’800, del ’900.
    Di contro, la fortuna (turistica) di Venezia è appunto la sua plurisecolare stasi cultural-stilistica.

    Quali sono, nel CONCRETO, queste innovazioni e reinvenzioni delle venezianità odierne, se non l’atavica e stantìa riproposizione e riletture della solita vecchia minestra cinquecentesca?
    Lo stesso famoso Carnevale è rimasto ai tempi di Goldoni!

    E tornando a ciò che ha gentilmente voluto scrivere…

    “Che possiamo dire di una città che fa fatturati sul turismo paragonabili all’indotto di una grande azienda italiana.”

    -Che a differenza di QUALSIASI città del mondo, se si toglie il turismo non c’è niente altro a mandare avanti la città.

    “Che ha una università con decine e decine di facoltà.”

    -Esattamente come la maggior parte delle città d’Europa. Con l’aggravante di una mediocrità generale che università cosmopolite come Praga, Copenaghen, Berlino non hanno.

    “la compresenza di culture diverse è assolutamente nel dna dei cittadini.”

    -Assolutamente no, ma proprio no. Quali culture sono nel dna veneziano? Un Croato si sente a casa? Un turco, un israeliano, un tedesco? E i vù cumprà? A quanti di loro apri le porte di casa tua in nome di questa “compresenza culturale?”

    “E dove se ti siedi in un qualsiasi caffè puoi scambiare due parole con un artista che proviene dall’altra parte del mondo.”

    -Un qualsiasi caffè! QUAL-SI-A-SI. Sono tutti lì, gli artisti dell’altra parte del mondo, seduti nei caffè ad aspettare i veneziani per scambiare due parole.

    “Dove si vive in un modo unico fatto di passeggiate, di incontri con la gente e cosi via…”

    -Certo, si vive in modo unico passeggiando e incontrando la gente. Tranne quelli che devono LAVORARE e trovare il modo di arrivare a fine mese che non hanno il buon tempo di… FARE I TURISTI A VENEZIA.

  • nicola scrive:

    il racconto è bello, un po’ onirico, enigmistico e catartico nella sua autoreferenzialità circolare. (non ho scritto “Lombrosiano” altrimenti sembrava avessi letto solo la prima pagina!)
    Il cav.uff.Francesco Baggi Sisini l’avrebbe oltremodo apprezzato, come il mitico Bartezzaghi. (cit.)
    Complimenti veri. La Tilde mi è sembrata un po’ inutile ai fini narrativi, ma forse una secondo lettura fugherà le sensazione.

  • nicola scrive:

    Giorgio

    “xxx.. ti el to dio”. Questa frase penso unica a Venezia, che usava anche mia nonna, prevede il fatto che l’altro possa anche avere un Dio diverso dal tuo.

    a Verona si dice “to dio te maca” oppure “to dio te brusa” traducibili nel “il tuo dio ti possa picchiare” e “il tuo dio ti possa bruciare”. E sembrano derivare dal modo (veneto) con cui i “paroni” redarguivano gli schiavi musulmani.

    Venezia è cosmopolita (vera) anche nelle parolacce.

    a Verona (ci sono nato e vissuto parecchi anni) ci sono tanti termini che derivano dal francese (sizòra = la forbice tortòr = l’imbuto) e moltissimi dal tedesco (strucàr = premere, gègher = cacciatore).
    Ma è retaggio di DOMINAZIONE STRANIERA, non certo di cosmopoliticità.
    Sempre a Verona di dice da decenni “te sì ai passi del pòro limòn” per indicare “sei indigente come un immigrato cinese”.

  • Giorgio scrive:

    Gentile Sig. Nicola,

    Vede, il punto non è che io sostenga che solo a Venezia esistano queste condizioni (vedi l’incontro con l’artista in un caffè) ma che Venezia non è morta come facilmente ci si può ingannare dalla sua immagine turistica che viene smerciata.

    Ha ragione Lei, Venezia vive una fase di decadenza da qualche secolo a questa parte, ma il mio commento voleva suggerire che esiste anche un’altra Venezia che è viva e pulsante.

    Certo esistono queste caratteristiche anche in moltissime altre citta’ d’Italia, come Verona che lei cita. Ma appunto solitamente in grandi città. Venezia come popolazione invece penso che non si possa considerare una grande città. Ma conserva ancora una energia vitale, come sottolineava Samantha nel suo articolo.

    P.s. Anche a Venezia c’è un detto “che el to Dio te brusa” o qualcosa del genere. E’ difficile stabilire le motivazioni che hanno generato i detti popolari e io di certo non ho competenze in materia sufficienti per neanche provarci. Venezia comunque e’ stata un melting pot culturale prima di molte altre aree cittadine. I riferimenti sono innumerevoli e a mio avviso questo ha generato un humus ancora presente in città.

    P.p.s anche io ho letto con attenzione il racconto “Game Over”. Mi piace. Soprattutto per la costruzione attenta della scrittura. Spero che Samantha ne pubblichi ancora.

    Cordiali Saluti
    Giorgio

  • Samantha scrive:

    Carissimi Giorgio e Nicola,
    vi ringrazio per i vostri sentiti commenti. Sono felice di aver suscitato una minima discussione, significa che l’argomento vi sta a cuore.
    E’ vero, la decadenza, l’arrembaggio infernale di un turismo disastroso per la città e l’immobilismo da parte di una classe politica poco attenta ha portato Venezia ad essere preda di se stessa senza saper sfruttare al meglio alcune potenzialità.
    Ma non credo che per questa cecità voluta o no, sia ancora morta.

    Anzi mi piacerebbe che chi si è occupato di far rivivere questa Venezia assopita attraverso la propria capacità, il proprio lavoro e la propria competenza potesse ritrovare l’entusiasmo in un progetto comune.

    Eh lo so.. magari.. bella illusione, vero? Eppure secondo me fermenti di rinascita ce ne sono, basta solo avere il coraggio di coglierli.

    Ho letto i vostri commenti al mio racconto.
    non posso far altro che ringraziarvi e dire a Nicola che ha colto nel segno.

    saluti cari e buona giornata
    Samantha

  • nicola scrive:

    Un complimento e un sorriso ancora.
    il “problema” di Venezia, nella cultural sfaccettatura che stiamo considerando, secondo me sono… i veneziani.
    Venezia c’è, Venezia vive oppure muore, Venezia si accende oppur si spegne: e i veneziani? Dove sono, cosa fanno?
    Quali sono questi “segnali” che, in forma diversa, stiamo tutti auspicando di riconoscere?
    Provocatoriamente (e qui la smetto, altrimenti passo definitivamente per “disturbatore” e “antiveneziano” aggettivi che rifiuto fortissimamente) Venezia può essere considerata una delle rare città che vive indipendentemente dai suoi abitanti… Che questi veneziani ci siano oppure no, per la città nella sua essenza cambierebbe poco o nulla.
    Ecco perché siamo a discutere se essa vive o, come coloro che la fecero grande fino al ’500, è già morta.
    Benedetto chi si da da fare, come Samantha, a mostrarci il contrario.

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