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Prima di parlare, scrivere
In questi giorni sono apparsi sulla Nuova Venezia alcuni articoli, ampiamente ripresi in tutti i siti internet che trattano di Lingua veneta, sulla questione dialettale firmati da Gianfranco Siega.
Lo incontro in un bar che già sta bevendo il caffè, fumando l’immancabile sigaretta, mi siedo e cominciamo a discutere sulla lingua, il dialetto e il loro uso. Questo il nostro dialogo.
Venezia nel corso dei secoli è stata caratterizzata da un’eterogeneità linguistica senza pari. A causa della sua indole geografica adatta al commercio ha assimilato influssi e prestiti linguistici che si sono fusi in un distillato che è l’essenza dell’ancor attuale dialetto.
Ma allo stesso modo, per altre cause, anche l’entroterra ha sviluppato una lingua parlata diversa da zona a zona e non solo da regione a regione, con varietà e varianti che restituiscono un’appartenenza.
Secondo te è possibile far convivere tutte queste differenze linguistiche in un’unica lingua veneta?
“Credo che, come già sostengo da molto tempo, che un’unica lingua veneta non possa esistere perché significherebbe forzare una natura dialettale che implica una differenziazione obbligata per ciò che hai appena spiegato. Ritengo invece che ogni paese di Italia dovrebbe custodire il proprio dialetto e anche la propria variante, ciò che manca è la scelta di una scrittura comune a tutti.”
Ovviamente una lingua si esprime principalmente nell’oralità, la scrittura è una necessità, una forzatura che avviene in seguito, è qualcosa di convenzionale. Quindi?
“Esatto, è il termine corretto: convenzionale.
Cercare disperatamente di creare una lingua veneta è un obiettivo sbagliato, è come metter insieme péri co pòmi, ma se si costruisce un terreno comune riconoscibile da tutti convenzionalmente da tutti – intendo ovviamente non la fonetica o la sintassi ma l’ortografia - allora ognuno potrà usare il proprio dialetto divulgandolo attraverso una scrittura che chiunque possa leggere.”
Certo che non è facile scegliere un modello che diventi la base dalla quale partire. Tu ne hai in mente qualcuno?
“Beh in teoria ne avremmo già, conosci bene il Boerio, o grammatiche come il Vittoria o il Piccio che, anche se molto riduttive, hanno cercato di dare una organizzazione linguistica ad un dialetto. È vero anche che non riportano un modello fonetico, ma cercano di desumere regole grammaticali da una lingua in continua evoluzione e proprio per questa caratteristica tipica della lingua, è necessario oggi riportare una nuova fotografia sul parlato attuale.
Ci sono terminologie e modi di scrivere che sono ormai desueti, l’uso della x ad esempio, come mi sono ritrovato in questi giorni a far notare, non ha più senso, perché il suono che noi conosciamo oggi è collegato fono logicamente a due consonanti unite risultato di cs, quindi perché attribuire alla x un suono che invece riconosco come s sonora usandola a sproposito come terza persona del verbo essere xe o in posizione intervocalica?
Non è meglio forse seguire una “logica linguistica” e usare dei segni grafici che corrispondano già ad un conosciuto? Quindi poiché la s sonora nell’alfabeto fonetico viene convenzionalmente restituita come z sarebbe meglio servirsi di quest’ultimo simbolo come rappresentante della sonorizzazione. Preferisco dunque scrivere ze e non xe. Valga il medesimo discorso per il suono sordo della s. Perché scrivere Venexia creando inoltre una evidente confusione tra le due possibili pronunce (dovrò pronunciarla con la s sorda o sonora?) quindi cavemose dale pétole e usiamo la doppia s: quindi Venezia si scriverà Venessia e si pronuncerà molto più facilmente esattamente come è riportato, senza ombra di dubbi. Cerchiamo di partire da strumenti che abbiamo adesso, non cadiamo nella tentazione di cercare di adattare regole e forme che appartengono ad un passato linguistico che mal si adatta all’uso attuale.”
Lo sai che non è così semplice far passare questo concetto, i puristi grideranno allo scandalo.
“Pol esser, ma secondo me in questo periodo si sente la necessità e la voglia di dare una sorta di unità ai nostri bei dialeti, perché no i vada pèrsi e mi pare che sia utile fare almeno un tentativo.
Il modello che ho in mente già esiste: è il Lessico Veneto in quattro volumi che go scrito mi, insieme a te e a Michela Brugnera, che contiene i cenni di grammatica veneta. Direi che potrebbe essere una base sulla quale lavorare. Una base, dico, quindi modificabile e discutibile, ma pur sempre un punto di partenza per cercare di realizzare un codice linguistico, una forma di scrittura che sia comprensibile da tutti i parlanti. E che tutti leggendolo, lo riconoscano immediatamente come proprio, e con come forzatura.”
Lo ringrazio, mi saluta: ti ciapi el batèo co mi? e decido di accompagnarlo a casa.
Samantha Lenarda
Lingua o dialetto? Oltre al dialetto…
Interessante, davvero! Io, se posso dire la mia, non trovo che l’idea di tutelare in qualche modo i dialetti sia da scartare a priori, certo però la questione va discussa seriamente, cosa che al momento non avviene (tranne che in rari casi).
G.Siega “quindi cavemose dale pétole e usiamo la doppia s: quindi Venezia si scriverà Venessia e si pronuncerà molto più facilmente esattamente come è riportato, senza ombra di dubbi. Cerchiamo di partire da strumenti che abbiamo adesso, non cadiamo nella tentazione di cercare di adattare regole e forme che appartengono ad un passato linguistico che mal si adatta all’uso attuale.”
E proprio no, totalmente in disaccordo.
Andrà bene la doppia s per Venessia ma gli “strumenti che abbiamo adesso” non possono rendere la S dolce, veneta e non solo.
EGLI LO SA GIA’ dalle mie parti si scriverebbe EO EO SA SA con tali “strumenti” da lei suggeriti.
Ma lei sa (xà) che se il primo SA è come “sasso”, il secondo ha la S dolce di Casa, Posa, Fase…
In altre lingue la differenza tra le S è chiara (la ç francese, o i vari tipi di S del tedesco, la C Z e TZ delle lingue dell’est) nell’italiano purtroppo no.
E nemmeno cito l’insormonabilità, per l’alfabeto italiano, di esprimere la differenza fonetica tra EO (lui) e EO (lo) riferendomi al PòRO S’CIàNCO che mi abita vicino…
Innanzitutto La ringrazio per il suo attento commento, vorrei solo fare un appunto.
Partendo dal presupposto che l’articolo parla di cercare una forma convenzionale di scrittura condivisa, farei un’ulteriore premessa:
La S all’inizio di parola, in dialetto veneto come in italiano, viene pronunciata con suono sordo, o se preferisce aspro se seguita da vocale:
sole, sale, sasso (un esempio in dialetto potrebbe essere sito dall’italiano zitto)
se seguita da consonante velare:
scale, spazio, storia (un esempio in dialetto sarà spussa dall’italiano puzza)
ma se la S è seguita da consonanti chiamiamole sonore (B,D, G, V)la S diventa a sua volta sonora (dolce):
sballo, sgattaiolare, svenarsi, sdentato (un esempio in dialetto potrebbe essere: sbassarse dall’italiano abbassarsi).
Conoscendo bene il risultato di questi suoni è evidente che la grafia resterà la stessa dell’italiano e la S seguirà le regole di cui sopra.
Tornando alla frase: LO SO GIA’ scritta da Lei EO SO SA secondo la nostra cognizione di pronuncia per i motivi sopra elencati, verrà espressa con tutte le S sorde (o aspre).
Cosa ben diversa sarebbe la stessa frase scritta LO SO ZA’ ( per l’uso della L ci andrebbe una spiegazione a parte! ). Infatti il dialetto veneto traduce alcuni termini italiani che generalmente iniziano con la consonante G (velare sonora la g di giallo) seguita da una vocale che di solito è G+E oppure G+I con una S dolce (come quella di sballo). Quindi, per non creare ulteriori complicazioni, si potrebbe decidere convenzionalmente che nella grafia dialettale la Z ad inizio parola seguita da vocale restituisca una pronuncia di S sonora o dolce:
già-zà
giallo-zalo
Questo eviterebbe qualche incomprensione.
Il problema non è solo nella questione della grafia, ma nella coscienza grammaticale dei parlanti, ma di questo argomenterò in seguito.
Sono sicura che questa spiegazione non avrà soddisfatto appieno la sua curiosità e sono altrettanto sicura che potrebbe ribattere e obiettare all’infinito e io potrei allo stesso modo confutare le sue teorie. Purtroppo a questo proposito si può dire tutto e il contrario di tutto senza per questo avere completamente torto o completamente ragione, ma sarebbe utile cercare una teoria che potesse diventare convenzionale e quindi comune per trovare un sistema di espressione riconoscibile.
L’obiettivo finale sarebbe quello di fare in modo che se una persona legge qualcosa in dialetto cerchi di utilizzare la simbologia e i suoni che conosce e riconosce in quel momento piuttosto di aver bisogno di una legenda, di difficile interpretazione, che cerchi attraverso altri simboli di riportare dei suoni. Tra l’altro questa forma di scrittura già c’è ed è l’alfabetico fonetico internazionale di difficilissima comprensione per i non addetti ai lavori.
Ma di questo ne parleremo ancora