Internet, linguaggio

La privacy in Internet?!

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I nostri dati, le nostre conversazioni, le fotografie, i pensieri viaggiano nella rete e nel momento stesso in cui pubblichiamo un articolo o postiamo un commento si perdono nella nuvola gassosa delle parole laggiù da qualche parte fluttuanti nell’etere.

La ricerca della privacy e soprattutto della sua assoluta necessità in difesa di un diritto non esiste più. O meglio esiste per noi, quelli legati ad una visione del mondo pre-internet in cui spedivamo le lettere in busta chiusa, quelli cresciuti con l’idea che nessuno dovesse aprire una lettera non indirizzata a sé, e non l’apriva nemmeno l’impiegato dell’ufficio postale né tantomeno il postino che te la portava a casa.

Dopo il caso NSA, ricordate?, (ma anche se non fosse l’NSA, a cui poco importa delle nostre conversazioni telefoniche, il controllo potenziale potrebbe essere applicato dai gestori delle compagnie telefoniche, dai provider della rete e chissà da chi altri), la paura di essere spiati, di essere sottoposti ad un controllo costante, ha messo la nostra generazione in subbuglio tanto che i Social network hanno cominciato a creare forme di comunicazione che non avvengono più solo attraverso post pubblici, ma anche attraverso chat private, vedi Twitter e l’apertura della messaggistica privata tra utenti seguito a ruota da Instagram. Per non parlare poi di Snapchat con le sue chat e relative immagini che si autodistruggono entro 3…2…1…0.

Eppure fatto uno Snapchat trovato l’inganno, infatti come tutti sanno esistono vari sistemi per conservare i messaggi che in teoria dovevano essere cancellati e internet è piena di buoni consigli per trovare le applicazioni giuste che facciano al caso.

Quindi la privacy? In Internet non esiste, è chiaro mi sembra, e la nuova generazione lo sa bene anche se postano immagini o chat a volte al di sopra delle righe direi più che altro per giovanile esuberanza, immaturo esibizionismo e per assoluta leggerezza, cose di cui abbiamo sofferto tutti alla loro età, solo che qui la cosa è molto più virale. Il che rende i ragazzi digitali consapevoli esclusivamente del fatto che la privacy si ottiene solamente non postando ciò che non vuoi sia reso pubblico, ciò che non vuoi che il postino o chiunque altro legga e che anche noi d’altronde avremmo spedito in busta chiusa.

Ma la privacy è un principio assoluto e non vale ovviamente solo per i contenuti che vengono postati, ma per un bene più profondo da afferrare: i nostri dati.

In fondo a pensarci bene la nostra privacy è un’ottima moneta di scambio.

Già, in cambio della privacy Google, ad esempio, inserisce la pubblicità personalizzata, conosce i tuoi gusti sa quali sono le tue preferenze, Facebook inserisce messaggi promozionali secondo la scelta delle tue pagine o dei tuoi gruppi di appartenenza, e quanto potenziale c’è nel conoscere le inclinazioni delle persone? Infinito, e ben l’ha capito Facebook quando ha acquistato Whatsapp o Amazon con Goodreaders o un po’ più in piccolo la Mondadori con Anobii.

Conoscere le tendenze può aiutare a indirizzarle o ancor meglio ad orientarsi verso quelle stesse tendenze, insomma un tesoro nascosto sotto la superficie di Internet, che crea scompensi a noi, ma non alle nuove generazioni che ritengono che il baratto valga comunque la pena: concedere un po’ di privacy per avere socialnetwork il cui accesso è gratuito o chat che non chiedono altro che la tua mail non è poi così male, avere a disposizione una pubblicità che propone proprio le cose che preferisci tu, in fondo vale una manciata di privacy.

Considerano tutta questa comodità un servizio che viene pagato con un piccolo prezzo a cui rinunciare sarebbe non solo stupido, ma fatale e mi sa che nemmeno noi, quelli del telefono a gettone e della mappa geografica spiegazzata nel cruscotto, non saremmo più in grado di rinunciarci.

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